Apocalisse
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San Giovanni a Pathmos scrive l'Apocalisse
Un'apocalisse, nella terminologia della letteratura del primo ebraismo e cristianesimo, è una rivelazione di cose nascoste
da Dio a un profeta scelto; questo termine è più spesso usato per
descrivere il resoconto scritto di tale esperienza.
La letteratura apocalittica [modifica]
La letteratura
apocalittica è di considerevole importanza nella storia della tradizione giudaica, cristiana e islamica, dal momento che concetti come la resurrezione dai morti, il giorno del
giudizio, il paradiso e l'inferno trovano un esplicito
riferimento in essa. Le credenze apocalittiche sono datate da prima del Cristianesimo, appaiono in altre religioni, e sono state assorbite nella società contemporanea secolare, specie attraverso
la cultura (vedi apocalitticismo).
La parola deriva dal greco apokalypsis e significa rivelazione (letteramente "l'alzarsi di un velo", o scoperta in senso letterale). Sembra essersi originata presso gli ebrei che
parlavano greco, per poi passare ai cristiani che la svilupparono ulteriormente.
L'uso trova la sua origine nel titolo dato al Libro dell'Apocalisse di Giovanni (detto anche
Libro della Rivelazione), nel Nuovo Testamento; il titolo proviene dalle parole di apertura del libro
'Aπōκάλυψις 'Iησōῦ Χριστōῦ apokalupsis iesou kristou, in cui il termine "rivelazione" è usato solo per descrivere i contenuti del libro stesso, e non come designazione letteraria. Il
nome Apocalisse venne poi attribuito a ulteriori scritture dello stesso genere, molte delle quali apparvero in quel periodo.
A partire dal II secolo d.C. il nome venne usato per diversi libri, sia cristiani che ebraici, che
mostrano gli stessi tratti caratteristici. Oltre all'Apocalisse di Giovanni (chiamata così da alcuni dei primi Padri della Chiesa cristiana), il frammento muratorio, Clemente di Alessandria ed altri menzionano una Apocalisse di Pietro. Vengono inoltre ricordate apocalissi di Adamo e
di Abramo Epifanio nonché di
Elia (Jerom); vedi, ad esempio i sei titoli di questo genere nella "Lista dei 60 Libri Canonici".
L'uso del termine greco per definire opere appartenenti ad una determinata classe letteraria è quindi di origine cristiana, derivato dalla rivelazione del Nuovo Testamento.
Caratteristiche [modifica]
La letteratura religiosa apocalittica viene considerata una branca distinta della letteratura. Il genere possiede diverse caratteristiche peculiari.
La rivelazione dei misteri svela cose che vanno oltre la normale portata dell'umana conoscenza. Dio concede a
santi o profeti selezionati le istruzioni al riguardo, sia per aspetti estranei all'esperienza umana o per vicende che l'umanità non
ha ancora affrontato.
Vengono svelate alcune informazioni sul paradiso, in misura minore o maggiore: gli scopi di Dio; i fatti e le caratteristiche
relativi agli angeli e degli spiriti malvagi; la spiegazione di alcuni fenomeni naturali; la storia della creazione e dei periodi iniziali dell'umanità; gli eventi in corso, in special modo quelli relativi al futuro di Israele; la fine del mondo; il giudizio universale e il destino dell'umanità; l'epoca messianica; immagini
del paradiso e dell'inferno. Nel Libro di
Enoch, la più ampia delle apocalissi ebraiche, la rivelazione comprende tutti gli elementi suddetti
Rivelazione attraverso un sogno o una visione [modifica]
La rivelazione di saggezze nascoste avviene attraverso una visione o un sogno. A causa della natura peculiare del soggetto, questa è evidentemente
la forma letteraria più naturale. L'attuazione della rivelazione e l'esperienza di chi la riceve vengono poste più o meno in rilievo. Normalmente, ma non sempre, i fatti vengono riportati in
prima persona. Esiste qualcosa di portentoso nelle circostanze, commisurato all'importanza dei segreti che verranno svelati. L'elemento del mistero, spesso in primo piano nella visione stessa, è
presagito negli eventi preliminari. Alcune delle caratteristiche classiche della "tradizione apocalittica" sono collegate con le circostanze della visione e con l'esperienza personale del
veggente.
L'esempio primario di letteratura apocalittica nella Bibbia ebraica è il Libro di Daniele. Mentre si trova lungo il fiume dopo un lungo digiuno Daniele vede apparire un essere celeste, che gli svela la
rivelazione (Daniele, 10:2 segg.). L'evangelista
Giovanni nel Nuovo Testamento, libro dell'Apocalisse (1:9 segg.) ha un'esperienza simile, narrata con termini comparabili. Si confronti anche il primo capitolo della Apocalisse Greca di
Baruch e la Apocalisse Siriana, vi.1 segg., xiii.1 segg., lv.1-3. In alternativa il profeta giace sul letto, preoccupato per il futuro della sua gente, quando cade in una specie di
trance, e il futuro gli è mostrato nelle "visioni della sua mente". Questo è il caso di Daniele, 7:1 segg.; Esdra, 3:1-3; e nel libro di Enoch, i.2 e seguenti. A proposito della descrizione degli
effetti della visione sul veggente, vedi Dan. 8:27; Enoch, lx.3; 2 Esdra 5:14.
Gli angeli portano la rivelazione [modifica]
L'introduzione degli angeli come portatori della rivelazione è una caratteristica ricorrente. Dio non parla in prima persona, ma dà le sue istruzioni a mezzo di messaggeri celesti, che agiscono
come guide per il veggente.
Rarissimi sono i casi di vere apocalissi in cui lo "strumento angelo" non è in primo piano nel portare il messaggio. Nell'assunzione di Mosè, che consiste principalmente in una predizione dettagliata del futuro degli Israeliti e della storia ebraica,
l'annuncio viene dato a Giosuè da Mosè, immediatamente prima della morte di quest'ultimo. Anche negli
"Oracoli Sibillini", che sono
per la maggior parte un'anticipazione di eventi futuri, la sibilla è la sola a parlare. Ma nessuno di questi libri si può
definire rappresentativo della letteratura apocalittica in senso stretto (v. sotto). In un altro testo a volte classificato come apocalittico, il Libro dei Giubilei (scritto intorno al 100 a.C., detto anche Genesi
minore, Apocalisse di Mosè o Testamento di Mosè), un angelo è il mediatore della rivelazione, ma la visione o l'elemento onirico mancano. In questo ultimo caso, comunque,
il libro appare decisamente non apocalittico nella sua natura.
Nelle tipiche composizioni di questa classe la maggior preoccupazione dell'autore è il futuro. L'apocalisse è in primo luogo una
profezia, solitamente con uno scopo evidentemente religioso, che vuole mostrare il modo in cui Dio agisce con gli uomini ed i
suoi scopi ultimi. L'autore presenta, a volte in maniera molto vivida, un quadro degli eventi a venire, e in particolare di quelli alla fine dell'epoca attuale. Per questo in alcune di queste
composizioni il soggetto è descritto vagamente come "ciò che avverrà negli ultimi giorni" (Dan. 2:28; si confronti il verso 29); in maniera simile Dan. 10:14, "ora sono venuto per farti intendere
ciò che avverrà al tuo popolo alla fine dei giorni"; si confronti Enoch, i.1, 2; x.2 segg. Così anche la Rev. 1:1 (si confronti la traduzione della Bibbia Septuaginta di Dan. 2:28 segg.), "Rivelazione... ciò che presto verrà ad accadere".
Spesso la visione comprende anche la storia del passato, ma solo per dare forza e il corretto inquadramento storico alla
predizione, così che il panorama degli eventi successivi possa passare impercettibilmente dal noto all'ignoto. Perciò nell'undicesimo capitolo del libro di Daniele la storia dettagliata
dell'impero greco d'oriente, a partire dalla conquista di Alessandro fino all'ultima parte del regno di Antiochus Epiphanes (versi 3-39, tutti presentati
in forma di predizione) continua, senza interruzione, con una descrizione appena meno vivida di eventi che non sono ancora accaduti (versi 40-45), ma che lo scrittore si aspetta: le guerre che
risulteranno dalla morte di Antioco e la caduta del suo regno. Tutto ciò, comunque, serve solo da introduzione alle notevoli profezie escatologiche del dodicesimo capitolo, in cui si trova lo scopo principale del libro. In maniera del tutto simile, il sogno raccontato nel
secondo libro di Esdra, 11 e 12, l'aquila che rappresenta l'Impero Romano è seguita dal leone,
che è il messia promesso che dovrà salvare gli eletti e stabilire un regno imperituro. La transizione fra la storia e la profezia
si può vedere in xii.28, dove viene predetta l'attesa fine del regno di Domiziano, e con essa la fine del mondo. Un altro esempio dello stesso genere è negli Oracoli Sibillini, iii.608-623. Probabilmente si può paragonare anche
Assumptio Mosis, vii-ix. In quasi tutte le scritture propriamente classificate come apocalittiche l'elemento escatologico è predominante. È stata proprio la crescita delle speculazioni
sui tempi a venire e la speranza per gli eletti che hanno originato più di ogni altra cosa la nascita, e influenzato lo sviluppo di questo genere di scritti.
L'elemento del misterioso, evidente sia nell'oggetto che nelle modalità della narrazione, è una delle caratteristiche salienti di ogni tipica apocalisse. La letteratura delle visioni e dei sogni
ha le sue tradizioni, che sono particolarmente persistenti; e questo aspetto inusuale è ben illustrato nelle composizioni giudaiche, o meglio giudaico-cristiane, prese in considerazione.
Tale qualità apocalittica appare in maniera molto evidente (a) nell'uso dell'immaginario fantastico. Le migliori illustrazioni sono complete delle strane creature che appaiono in moltissime
visioni; "bestie" nelle quali le proprietà di uomini, mammiferi, uccelli, rettili o di esseri meramente immaginari sono combinate in modi stupefacenti e spesso grotteschi. Quanto tali figure siano caratteristiche lo
si può vedere dalla seguente lista di passaggi in cui le suddette creature sono presentate: Dan. 7:1-8, 8:3-12 (ambedue passaggi importantissimi per la storia della letteratura apocalittica);
Enoch, lxxxv.-xc.; 2 Esd. 11:1-12:3, 11-32; Apoc. greca di Bar. ii, iii; Testamento ebraico di Naphtali, iii.; Rev. 6:6ff (si confronti Apoc. di Bar. [Sir.] li.11), ix.7-10,
17-19, xiii.1-18, xvii.3, 12; Il pastore di Hermas, "Visione", iv.1. Alcuni esseri mitici o semi-mitici che appaiono nel
Vecchio Testamento giocano altresì un ruolo di importanza saliente in questi testi. Così il "Leviatano" e "Behemoth" (Enoch, lx.7, 8; 2 Esd. 6:49-52; Apoc. di Bar. xxix.4); "Gog e Magog" (Sibillini, iii.319 segg, 512 segg; si
confronti Enoch, lvi.5 segg; Rev. 20:8). Come ci si potrebbe aspettare, anche le mitologie straniere apportano talvolta un
contributo (v. sotto).
La qualità apocalittica si nota ancora (b) nell'uso frequente di un simbolismo mistificatore. Questo aspetto viene illustrato in modo notevole nei ben noti casi in cui si impiega la Ghematriah per oscurare l'opinione o il senso dello scrivente; quindi, il misterioso nome "Taxo", Assumptio
Mosis, ix. 1; il "numero della bestia", 666, di Rev. 13:18; il numero 888 ('Iησōῦς), Sibillini, i.326-330. Simile a questo aspetto è la profezia, spesso enigmatica, del tempo che
dovrà passare prima dell'accadere degli eventi predetti; quindi il "fra un tempo, tempi e la metà di un tempo" Dan. 12:7; i "quaranta e otto tempi" di Enoch, xc.5, Assumptio Mosis, x.11;
l'annuncio di un certo numero di "settimane" o "giorni" (senza però specificare l'inizio), Dan. 9:24 segg, 12:11, 12; Enoch xciii.3-10; 2 Esd. 14:11, 12; Apoc. di Bar. xxvi-xxviii; Rev.
11:3, 12:6; si confronti Assumptio Mosis, vii.1. La stessa tendenza si nota anche nell'impiego di linguaggio simbolico nel parlare di determinate persone, cose o eventi; quindi, le
"corna" di Dan. 7 e 8; Rev. 17 e segg; le "teste" e "ali" di 2 Esd. xi e segg; i sette sigilli del cap. 6 delle Rivelazioni; trombe, 8; ciotole, 16; il dragone, Rev. 12:3-17, 20:1-3; l'aquila,
Assumptio Mosis, x.8; eccetera.
Come esempi tipici di allegorie più elaborate, a parte quelle di Dan. 7, 8 e 2 Esd. 11, 12, già ricordate, si possono
menzionare: la visione del toro e della pecora, Enoch, lxxxv segg; la foresta, la vigna, la fontana, il cedro, Apoc. di Bar. xxxvi segg.; la acque chiare e scure, ibid. liii segg; il
salice e i suoi rami, Hermas, "Similitudini", viii. A questa descrizione delle peculiarità letterarie dell'apocalisse ebraica si può aggiungere che, nelle sue parti chiaramente escatologiche,
mostra con notevole uniformità la dizione e il simbolismo dei passaggi classici del Vecchio Testamento. Benché ciò sia corretto, comunque, la maggior parte della letteratura escatologica
tardo-ebraica e protocristiana (spesso non apocalittica nel senso proprio del termine) può difficilmente essere considerata simile a livello di caratteristiche a quella sopra descritta.
La fine del mondo [modifica]
In epoche recenti il termine "letteratura apocalittica", o "apocalittico", è stato usato comunemente per descrivere le varie parti delle scritture ebraiche o cristiane, sia canoniche che
apocrife, in cui si forniscono predizioni escatologiche in forma di rivelazione. Che il termine sia attualmente usato in maniera blanda, e comprenda spesso cose non propriamente apocalittiche, è
dovuto al fatto che lo studio di questa letteratura come classe a sé stante è piuttosto recente.
Nell'uso comune delle lingue occidentali, il termine apocalisse si riferisce alla fine del mondo. Il
significato corrente può essere un'ellisse della frase apokalupsis eschaton (escatologia apocalittica), che significa
"rivelazione della conoscenza alla fine dei tempi". Tale ellisse nell'uso corrente riecheggia quella nel titolo dell'ultimo libro della Bibbia, il Libro della Rivelazione o Apocalisse di San Giovanni apostolo, che è normalmente interpretato come la profezia della fine del mondo,
con numerosi dettagli visuali. Si veda anche escatologia e millennialismo.
La fine escatologica del mondo nella letteratura apocalittica era spesso accompagnata da immagini di resurrezione, giudizio dei morti e
dalla pena dell'inferno per i peccatori. È interessante notare che tali idee non erano esplicitamente sviluppate nei libri
pre-apocalittici della Bibbia ebraica, quindi l'esistenza di tali credo nell'ebraismo, nel
cristianesimo e nell'Islam può essere ricondotta ai testi apocalittici.
La storia della cristianità è punteggiata di gruppi religiosi millennialisti, quasi fin dalle
origini. I movimenti cristiani moderni sono concentrati nel XVIII e XIX secolo e comprendono l'ascesa di religioni apocalittiche come i cristodelfiani, i Mormoni e i Testimoni di Geova.
L'Islam possiede i propri movimenti, in particolare la fede nell'Imam "atteso" o "nascosto" della comunità sciita. Nel XIV secolo dell'Islam (circa 1890 dell'era cristiana) si riporta un credo che aveva
preso a circolare presso la comunità sunnita, per il quale sarebbe presto giunto il Messia promesso, sia per i cristiani, sia
per i musulmani. Molti di questi furono Jihadisti, come Muhammad al-Mahdi, Muhammad ibn Abd Allah del Sudan e Usman dan Fodio dell'Africa occidentale, che coniugarono la pratica politica alle loro convinzioni
mahdistiche. Mahdi successivi, compresi Mirza
Ghulam Ahmad e l'Ayatollah Seyyed Ruhollah Khomeini, furono principalmente
riformatori religiosi. Di recente si è assistito a una ripresa del movimento dei Jihadisti, come Osama bin Laden
di al-Qā'ida, quasi esclusivamente politici. La profezia del Messia promesso all'inizio del XIV secolo per la maggior parte
dei musulmani è stata sostenuta solo da Mirza Ghulam Ahmad, ma il punto di vista della maggioranza venne
raccolto dall'Università di al-Azhar del Cairo e dalla Scuola Deoband di Scienze Islamiche in India, che rifiutarono Mirza Ghulam Ahmad perché eretico, dato che si definiva profeta
(l'Islam ritiene che Muhammad sia stato l'ultimo Profeta) e messia (un titolo che l'Islam riserva a Gesù Cristo).
Rappresentazioni dell'Apocalisse [modifica]
Essendo un tema teologico e immaginale molto forte e drammatico, l'Apocalisse è stata molto rappresentata, nell'alto medioevo.
Tra i più importanti codici pervenuti fino a noi si vedano:
-
il manoscritto dell'Escorial [1] e l'Apocalisse spagnola di Magius [2]
-
l'Apocalisse di Bamberga [3], l'Apocalisse di St-Sever [4], il manoscritto mozarabico di Osma [5]
Anche nei secoli succesivi il tema non smise d'interessare, trasferendosi dai codici agli affreschi ed alle incisioni e ponendo più fortemente l'accento sul Giudizio universale: si pensi
all'Apocalisse di Luca Signorelli nel duomo di Orvieto, alle illustrazioni di William Blake,
Rappresentazioni moderne dell'Apocalisse [modifica]
Una delle rappresentazioni moderne dell'apocalisse è per esempio quella che emerge dagli scritti del padre
gesuita Pierre Teilhard de Chardin molto più vicini al tipico discorso scientifico e evoluzionista che al discorso svolto totalmente nel linguaggio teologico.
Il suo discorso, in qualche modo profetico sull'avvento dell'Homo noeticus che rappresenta un salto evolutivo rispetto all'attuale Homo Sapiens Sapiens, non è indolore come molti interpreti di questa nuova figura umana ritengono. Per quest'ultimi infatti la nuova
umanità viene rappresentata come il baluardo estremo della difesa della specie e del pianeta Terra, della democrazia e soprattutto dell'insieme del patrimonio spirituale accumulatosi lungo il divenire storico dell'umanità che lo piega ai legittimi interessi tattici e strategici dei nuovi movimenti emergenti, talora anche radicali, di stampo ecologista, salutista ecc... Questa lettura è sicuramente significativa e i movimenti non violenti, pacifisti, ambientalisti che talora la supportano sono certamente l'incarnazione sintomatica di una storia che giunge al termine, ma la lettura che il
"gesuita proibito" dà dell'avvento dell'Homo Noeticus è ben altra e soprattutto ben più radicale: non è una figura di difesa dello status quo prima che le cose peggiorino irrimediabilmente ma una
figura di attacco per far dire alla storia della salvezza: "tutto è compiuto". Ci troviamo infatti di fronte ad una vera e propria
"fine del mondo". Esso, l'Homo Noeticus rappresenta infatti per così dire lo sprint finale della convergenza di tutta la nostra galassia nel "punto Omega" a forte potenza gravitazionale,
rappresentato dal "Cristo evolutore" che attrae tutto a sé e in cui tutto collassa e implode nell'abbraccio finale tra il creatore e la creatura.
-
Omraam Mikhaël Aïvanhov, Commento all'Apocalisse, Edizioni Prosveta 1995
-
Mario Polia e Gianluca Marletta, Apocalissi.La fine dei tempi nelle religioni, SugarCo, Milano, 2008
Voci correlate [modifica]